Le convivenze di fatto sono quelle situazioni in cui due persone unite da un legame sentimentale conducono una vita in comune (vivono insieme) come fossero una coppia di coniugi, pur non essendo sposate.
In questi casi si parla anche di convivenza "more uxorio", cioè appunto di uno stato in cui si vive come se fosse stato contratto matrimonio.
Le Unioni di fatto – e/o le "famiglie di fatto" (dette anche "famiglie naturali"), cioè quelle in cui la coppia di conviventi ha messo al mondo anche dei figli – fino ad ora non hanno ricevuto grosse tutele da parte del nostro ordinamento, a parte la possibilità di dar vita ad accordi scritti per le sole questioni economiche e l'aver riconosciuto ai figli delle coppie di fatto gli stessi diritti di quelli nati da coppie sposate.
Nel 2016, però, anche in Italia c'è stata una piccola svolta in questo senso, grazie all'approvazione di una nuova legge che concede ai conviventi qualche riconoscimento e diritto in più, per esempio in caso di malattia o ricovero.
Convivenze di fatto: legge. A partire dalla primavera inoltrata del 2016 i rapporti tra conviventi in Italia sono regolamentati all'interno della "Legge Cirinnà", ovvero la Legge n. 76 del 20 Maggio 2016 "Regolamentazione delle Unioni Civili tra persone dello stesso sesso e disciplina delle convivenze", entrata in vigore il 5 Giugno.
La normativa disciplina le convivenze di fatto nella seconda parte della Legge n. 76, a partire dall'articolo 36.
La prima parte della Cirinnà, infatti, riporta le norme che riguardano unicamente le Unioni Civili, ovvero quel nuovo istituto giuridico grazie al quale una coppia omosessuale viene riconosciuta legalmente dal nostro ordinamento, dunque può godere di molti diritti e doveri reciproci normalmente concessi con un matrimonio.
Per le relazioni di fatto tra conviventi la normativa non fa distinzioni di carattere sessuale, nel senso che le norme previste valgono sia per le coppie omosessuali che per quelle eterosessuali.
I conviventi di fatto sono definiti dalla Legge n. 76 come due persone maggiorenni legate sentimentalmente l'una all'altra in modo stabile, che si dedicano alla reciproca assistenza morale e materiale, non hanno contratto tra loro matrimonio o unione civile, non sono parenti stretti o affini né hanno rapporti di adozione.
Stato di famiglia. Una convivenza di fatto esiste indipendentemente dalle formalità: a differenza di un matrimonio o di un'unione civile, non è necessario che due persone dichiarino qualcosa davanti ad un ufficiale di stato civile per essere "conviventi".
Tuttavia, ai fini del suo accertamento per questioni di natura giuridica, la Legge prevede che la coabitazione della coppia risulti da un certificato di stato di famiglia, quindi che venga presentata una dichiarazione anagrafica presso l'ufficio anagrafe del Comune in cui si risiede.
Ai conviventi la legge riconosce alcuni diritti e doveri – limitati rispetto a quelli che si assumono con il matrimonio o con un'unione civile – e dà indicazioni precise su come possono disciplinare i rapporti patrimoniali riguardanti la loro vita in comune.
I diritti delle coppie conviventi previsti dalla nuova legge riguardano soprattutto i casi in cui una persona si ritrova a dover affrontare una malattia e/o un ricovero: in queste situazioni, al pari di un coniuge, il convivente ha diritto di visita, di assistenza e di accesso alle informazioni sullo stato di salute del partner.
I conviventi assumono anche gli stessi diritti che spettano ai coniugi nei casi previsti dall'ordinamento penitenziario.
Una persona può nominare il proprio partner convivente suo rappresentante – con poteri pieni o limitati – per affrontare decisioni che riguardano la sua salute in caso di malattia che provoca incapacità di intendere e di volere e in caso di morte, per questioni come la donazione di organi, il funerale, etc.
Inoltre, il convivente di fatto può anche essere nominato curatore, tutore o amministratore di sostegno se l'altra persona viene dichiarata interdetta o inabilitata.
Se il convivente proprietario della casa in cui vive la coppia muore, il partner può continuare ad abitarla per altri 2 anni (o almeno 3 se ci sono dei figli) oppure per una durata pari a quella della convivenza – se è andata oltre il biennio – ma che non superi comunque i 5 anni. Perde, però, questo diritto se smette di abitare in quella casa oppure se contrae matrimonio o unione civile o inizia una nuova convivenza di fatto.
Se la casa era, invece, in affitto, può subentrare al convivente defunto nel contratto di locazione.
Nel caso in cui il far parte di un nucleo familiare è titolo o causa di preferenza nelle graduatorie per gli alloggi popolari, a parità di condizioni possono godere di questo titolo o causa di preferenza anche le coppie conviventi.
Se una persona lavora regolarmente nell'impresa del convivente ha diritto a partecipare a utili e beni acquistati. Questo diritto, però, non può essere rivendicato se i conviventi sono tra loro soci o hanno instaurato un rapporto di lavoro subordinato.
Inoltre, se uno di loro muore per colpa di un fatto illecito commesso da terza persona, il compagno ha diritto ad un risarcimento del danno, il cui importo viene calcolato con gli stessi criteri applicati per il risarcimento dovuto ad un coniuge.
Contratto di convivenza. La normativa permette alla coppia di regolamentare i propri rapporti patrimoniali stipulando un vero e proprio contratto tipico: il contratto di convivenza.
Questo contratto deve essere obbligatoriamente scritto (pena la sua nullità) nonché sottoscritto davanti ad un notaio o un avvocato.
Nel documento può essere indicato come regime patrimoniale quello della comunione dei beni, ma è sempre possibile modificare questa decisione in qualunque momento.
Inoltre devono essere riportati anche i dati relativi alla residenza comune e il modo in cui i componenti della coppia contribuiranno alla vita insieme, stabiliti in base alle loro rispettive risorse e capacità lavorative professionali o casalinghe.
Il contratto viene considerato risolto per volontà di entrambi i conviventi o recesso unilaterale, morte di uno di loro oppure matrimonio/unione civile (tra loro o con altre persone).
Convivenza di fatto: alimenti. La normativa prevede che, in caso di fine della convivenza, il giudice possa riconosce alla parte più debole (cioè a chi versa in stato di bisogno e non può provvedere al proprio mantenimento) il diritto agli alimenti per un certo periodo di tempo, proporzionale alla durata della convivenza stessa.
Allo stato attuale sembra che alle coppie di conviventi non sia stato ancora riconosciuto il diritto alla pensione di reversibilità, né all'eredità. In quest'ultimo caso, dunque, si potrà partecipare all'eredità del proprio compagno solo se lui stesso avrà lasciato indicazioni al riguardo all'interno di un testamento, rispettando come prima cosa le quote che per legge spettano ai suoi eredi (genitori, eventuali figli, ecc.).