Il lavoro gratuito si ha quando una persona esegue un'attività lavorativa alle dipendenze e sotto la direzione di qualcuno ma non riceve in cambio alcun compenso.
La nostra legge in linea generale non ammette questa forma di lavoro.
In un rapporto di lavoro subordinato, infatti, vi è normalmente l'obbligo per un datore di lavoro di versare al dipendente una retribuzione. Per questo, qualunque accordo con il quale viene stabilito che il lavoratore non verrà pagato per l'attività che esegue, viene considerato invalido ed automaticamente sostituito con il diritto alla retribuzione minima previsto dal contratto collettivo: se ad esempio il contratto di Marco, cameriere presso il ristorante di Luca, prevede una clausola che non gli concede il diritto alla retribuzione, questa clausola è considerata per legge nulla, per cui Luca sarà comunque costretto a pagargli uno stipendio minimo.
Il lavoro gratuito in giurisprudenza in realtà viene ammesso in alcuni casi specifici. Accordi di questo genere, infatti, possono essere considerati legittimi quando l'attività viene eseguita perché esistono vincoli di cortesia, affetto, compiacenza tra lavoratore e datore di lavoro oppure quando il lavoratore ha un interesse specifico nel voler lavorare gratuitamente, interesse che può essere anche un semplice scopo di solidarietà.
È possibile, quindi, dar vita a rapporti gratuiti in due casi: quando l'attività viene svolta in ambito familiare oppure quando si tratta di volontariato vero e proprio.
Il lavoro gratuito familiare è quello che nasce appunto all'interno di una famiglia, quando i suoi membri eseguono un'attività lavorativa. Sorge, quindi, tra persone legate tra loro da vincoli di parentela (figli, genitori, fratelli, nonni) o di affinità (generi, cognati, suoceri, ecc.).
Forme di lavoro gratuito familiare sono ad esempio le attività agricole svolte occasionalmente o per brevi periodi.
In questi casi, si ritiene che il familiare che esegue l'attività senza avere in cambio una retribuzione lo faccia come forma di compenso per l'assistenza che riceve dai parenti, oppure perché quell'attività è necessaria per soddisfare gli interessi della sua famiglia: se ad esempio un ragazzo aiuta gratuitamente i suoi genitori nel loro negozio di generi alimentari, si presuppone che lo faccia in quanto legato affettivamente a loro o comunque perché il suo lavoro gratuito serve per il bene stesso della famiglia.
Il lavoro gratuito in ambito familiare può essere eseguito all'interno di una impresa di famiglia. Nell'impresa di famiglia collaborano con il titolare in modo continuativo anche il coniuge, i suoi parenti entro il terzo grado e gli affini entro il secondo grado.
In questo caso, per tutelare in qualche modo queste persone, la legge riconosce loro alcuni diritti anche di natura economica: hanno per esempio diritto al mantenimento nonché a partecipare alle decisioni su alcune materie.
Il lavoro gratuito nel volontariato è un altro esempio di attività lavorativa eseguita senza ricevere in cambio alcun compenso, considerata legittima dalla nostra legge.
Si tratta di un lavoro che una singola persona svolge in modo spontaneo e gratuito, tramite un'organizzazione di cui fa parte (organizzazione di volontariato) e senza alcun fine di lucro. Il volontario, infatti, opera non per ottenere qualcosa in cambio, bensì in nome della pura e semplice solidarietà. Proprio per questo, non può essere retribuito con uno stipendio o un compenso qualsiasi, ma può solo ricevere un rimborso per le spese sostenute.
Anche l'organizzazione di cui fa parte il volontario non deve perseguire fini di lucro.