Dimissioni

Dimissioni lavoratore: preavviso, giusta causa, volontarie, in bianco, online telematiche, ...

Dimissioni lavoratore

Le dimissioni si hanno quando un lavoratore decide di metter fine al rapporto che ha instaurato con il suo datore di lavoro, quindi recede dal contratto.
Si tratta di un "atto unilaterale", ovvero di un'operazione che può essere compiuta autonomamente e senza che sia necessario il consenso dell'altra parte.

Una delle differenze principali tra dimissioni e licenziamento riguarda l'obbligo della giustificazione: mentre il datore deve sempre spiegare per quale ragione ha deciso di licenziare qualcuno, un lavoratore che presenta le dimissioni non è tenuto a comunicare i motivi della sua decisione.
Tuttavia anche in caso di dimissioni esistono obblighi di legge da rispettare, in modo particolare quello di fornire al datore un "congruo preavviso".

Dimissioni: preavviso

Secondo la Legge italiana, in caso di lavoro a tempo indeterminato il soggetto che decide di interrompere il rapporto deve dare all'altra parte un preavviso, cioè comunicare le sue intenzioni con un certo anticipo. Anche il lavoratore che si dimette, quindi, deve avvisare il datore di lavoro un po' di tempo prima di andar via, in modo tale da permettergli di cercare e trovare qualcuno che possa sostituirlo.

Il preavviso normalmente deve esser dato almeno 15 giorni prima della data di decorrenza delle dimissioni. In realtà i suoi termini sono stabiliti dal contratto collettivo e dipendono anche da qualifiche del dipendente e anzianità di servizio.
Durante il periodo del preavviso il rapporto va avanti normalmente: il lavoratore continua ad eseguire l'attività, il datore paga lo stipendio.

In caso di mancato preavviso, la parte che recede dal contratto deve versare all'altra una "indennità sostitutiva del preavviso", cioè una somma di denaro che corrisponde alla retribuzione che avrebbe dovuto ricevere il dipendente durante quel periodo.

Dimissioni: giusta causa

Dimissioni senza preavviso. In alcuni casi il preavviso può anche non esser dato. Questo accade soprattutto quando si verificano situazioni che rendono impossibile proseguire il rapporto (per esempio il dipendente non riceve lo stipendio da un po' o è vittima di mobbing, molestie sessuali, ecc.). In queste circostanze si parla di "dimissioni per giusta causa": il lavoratore può dimettersi in tronco con effetto immediato senza comunicarlo anticipatamente al suo datore, proprio perché c'è una motivazione più che valida dietro la sua decisione.

Le dimissioni per giusta causa sono, inoltre, ammesse in caso di rapporto a tempo determinato: il nostro ordinamento per il lavoro a termine non prevede il recesso anticipato (proprio perché si tratta di un contratto con una scadenza), a meno che non ci sia appunto una giusta causa o non si tratti di una decisione presa di comune accordo tra lavoratore e datore di lavoro.

Dimissioni volontarie

Per l'ordinamento italiano le dimissioni sono un atto volontario. Questo significa che il lavoratore deve decidere liberamente se presentarle o meno, per cui dimissioni dovute a cause lontane dalla sua volontà - come per esempio l'aver subito minacce o raggiri, l'essere costretto dal datore a dimettersi o essere incapace di intendere e di volere - vengono considerate illegittime.

Dimissioni in bianco. Tra le dimissioni considerate illegittime ci sono le famose "dimissioni in bianco", ovvero quelle che si hanno quando un lavoratore è costretto a firmare al momento stesso dell'assunzione anche un documento di dimissioni, che però non riporta alcuna data di decorrenza.
Si tratta di un'operazione illegale molto diffusa nonché dannosa. Pensiamo, per esempio, a una donna lavoratrice: in caso di gravidanza, il datore di lavoro non può licenziarla; se però lei ha firmato dimissioni in bianco, è facile a quel punto mandarla via.

Per arginare questo fenomeno, nel corso degli anni sono stati presi vari provvedimenti nel nostro Paese. La Riforma Fornero del 2012 (Legge n. 92/2012), per esempio, ha previsto sanzioni che comportano il pagamento di multe anche di 10.000 euro ed ha introdotto un procedimento complesso per il recesso del lavoratore dal contratto, un procedimento fatto di convalide da dare presso la Direzione Territoriale del Lavoro o il Centro per l'Impiego o altre sedi previste dai contratti collettivi.

Recentemente il Decreto Legislativo n.151 del 2015 (uno dei Decreti Attuativi del Jobs Act, l'ultima riforma del lavoro italiana) ha dato vita ad una nuova procedura, per via della quale si parla ora di "dimissioni telematiche" o "dimissioni online".

Dimissioni online: dimissioni telematiche INPS

La procedura prevista dal Decreto Attuativo del Jobs Act prevede che un lavoratore possa presentare le dimissioni solamente in modalità telematica, quindi solo online. Nello specifico, deve comunicare la sua decisione di recedere dal contratto attraverso un modulo preciso, pubblicato sul sito web del Ministero del Lavoro.

Dimissioni online: come fare. Per la compilazione del modulo il lavoratore può scegliere tra due opzioni: occuparsene in modo autonomo o servirsi dell'aiuto di enti abilitati.

Nel primo caso, il lavoratore deve richiedere il PIN dall'INPS per accedere ad un form online, attraverso il quale visualizzerà tutte le informazioni sul rapporto di lavoro che desidera interrompere.
Se questo rapporto è stato instaurato prima del 2008, deve indicare lui stesso data di inizio, tipo di contratto e dati del suo titolare (soprattutto indirizzo email o PEC – Posta Elettronica Certificata).
Infine, deve inserire i dati che riguardano le dimissioni.

Se non vuole occuparsi del modulo per conto proprio, può rivolgersi a soggetti abilitati come patronati, Commissioni di Certificazione, sedi dell'Ispettorato del Lavoro, sindacati, consulenti del lavoro, ecc.: costoro inseriscono i dati al posto suo e li inviano poi al Ministero del Lavoro.

Una volta inviato il modulo, il sistema informatico del Ministero rilascia una certificazione, sulla quale vengono riportate data e ora della sottoscrizione digitale del modulo e provenienza. Il datore di lavoro riceve il tutto sulla sua PEC.

La nuova procedura non viene applicata per chi lavora presso pubbliche amministrazioni, per coloro che presentano le dimissioni nelle sedi protette (Commissioni di Certificazione, sindacati, Direzione Territoriale del Lavoro), per i lavoratori domestici.

Dimissioni: Elenco Avvocati e Studi Legali
Congedo di maternità
Permette ad una donna di astenersi da lavoro in caso di gravidanza. È un congedo obbligatorio: per legge, infatti, la donna non può lavorare in prossimità del parto. Dura in totale 5 mesi: 2 precedenti il parto, 3 successivi. La donna può anche scegliere di astenersi da lavoro 1 mese prima della nascita e 4 dopo.
Permessi per allattamento
Sono periodi di riposo giornaliero concessi alla neo-mamma lavoratrice per prendersi cura del neonato. I riposi di cui può usufruire dipendono dall’orario quotidiano previsto sul contratto: se supera le 6 ore, ha diritto a 2 riposi al giorno di un’ora ciascuno; se è inferiore, ha diritto ad un solo riposo.
Contratto di apprendistato: retribuzione
L’apprendista può ricevere dal 60% di ciò che guadagna un lavoratore qualificato dello stesso livello fino al 100%. Sono i contratti collettivi nazionali a stabilire la retribuzione, che varia in base a tipo di contratto, livello di inquadramento, qualifica da conseguire.
Lavoro notturno: cos’è
È l’attività svolta per almeno 7 ore consecutive, che devono essere comprese nell’intervallo tra la mezzanotte e le 05.00 del mattino.
Il lavoratore ha diritto ad una maggiorazione sullo stipendio. La maggiorazione varia in base al settore lavorativo ed è stabilita dai contratti collettivi nazionali.
Congedo di maternità: Inps
Le lavoratrici iscritte all’Inps, durante il periodo di astensione da lavoro per congedo di maternità, hanno diritto ad una indennità, cioè ad una somma di denaro che corrisponde ad una percentuale del normale stipendio (80% di ciò che guadagnano giornalmente). La somma è anticipata in busta paga dal datore di lavoro.
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