La concorrenza sleale si ha quando un imprenditore, per far sì che i consumatori preferiscano i suoi prodotti a quelli di altri, assume comportamenti non corretti, compie azioni illecite oppure cerca di danneggiare i suoi concorrenti.
Il Codice Civile reprime questo fenomeno attraverso una specifica normativa, all'interno della quale vengono indicate tre categorie di concorrenza sleale che raccolgono tutti i comportamenti considerati scorretti e quindi vietati: atti confusori, atti denigratori o di appropriazione di pregi, atti non conformi alla correttezza professionale.
Gli atti confusori comprendono quelle azioni che possono creare confusione nei consumatori, cioè possono far sì che il prodotto di un imprenditore venga scambiato per quello di un'altra impresa. L'imprenditore diventa colpevole di atti confusori quando utilizza nomi o segni distintivi troppo simili a quelli dei concorrenti oppure ne imita i prodotti in maniera tale da confondere gli acquirenti.
Gli atti denigratori o di appropriazione di pregi riguardano quelle situazioni in cui un imprenditore diffonde di proposito notizie fasulle (o anche vere) sul suo concorrente con il solo scopo di screditarlo agli occhi dei consumatori, oppure attribuisce ai propri prodotti o alla propria impresa qualità e pregi che in realtà appartengono ad altri (questi ultimi detti anche "atti di vanteria", ad esempio il vantarsi di aver ricevuto un riconoscimento in realtà concesso ad un concorrente).
Gli atti non conformi alla correttezza professionale, infine, non sono indicati in modo preciso dalla legge, per cui è compito soprattutto di un giudice individuarli di volta in volta.
Si tratta di comportamenti che vanno contro l'etica professionale e provocano danni ai concorrenti, come per esempio assumere un dipendente di un altro imprenditore non per le sue capacità lavorative, bensì per sfruttare le conoscenze tecniche che utilizza in quell'azienda.
A questo proposito, un particolare fenomeno che è opportuno analizzare è quello della concorrenza sleale per sviamento di clientela.
La concorrenza sleale per sviamento di clientela si ha quando un ex dipendente comincia a lavorare per un'altra impresa oppure dà inizio ad una sua attività privata portandosi con sé i clienti dell'ex datore di lavoro.
Per via della libertà di concorrenza, in realtà può compiere quest'azione (i clienti non "appartengono" a nessuno e quindi può cercare di portarli nella nuova realtà), ma tecnicamente può puntare solo sulla sua memoria per contattarli. Se, infatti, utilizza un elenco clienti appartenente all'ex datore, compie un atto illecito.
Se uno di questi atti viene accertato - cioè se, dopo accurate indagini, viene confermato che è stata compiuta un'azione sleale - il giudice dà vita a due procedimenti: prima di tutto ne "inibisce" la prosecuzione con una azione inibitoria, cioè vieta che si continui a portare avanti quell'atto scorretto; poi passa ad un'azione di rimozione, cioè emana una serie di provvedimenti che servono per eliminare gli effetti provocati dall'azione sleale.